Una settimana di passione

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Frustrazioni e speranze: come nella vita. La corsa è metafora anche in questo senso. Perché a volte questa storia della lettura della corsa come trasparenza della vita, sembra un po’ forzata, fa retorica di alto profilo, fa tendenza. E invece no, è proprio così.

Ho iniziato questa settimana pieno di frustrazioni: il ricordo della felicità di questa foto, la nostra staffetta di famiglia alla maratona di Milano, quando mi sono bevuto i 12 chilometri della frazione finale come non avevo mai fatto, tonico, sguardo alto, sprint finale, autostima alla Elon Musk, era sbiadito sullo sfondo. Una colonna sonora stonata e lontana.

Sovrappeso -eh le cene estive, i viaggi, le trasferte, gli amici, le birre- sovraccaricato di lavoro, sotto il caldo che ti schianta la voglia prima che la forza, che ti impone allenamenti in ore in cui tutto hai per la testa tranne che uscire a correre, ero proprio deluso.

Il peso in più te lo trovi tutto nel cervello perché ti smangia le idee, il coraggio. E’ un sorso di acido che ti corrode, un diavolo maligno che ti deride preannunciandoti sconfitte.

Ed entri in quel cerchio che più ingrassi meno corri e quindi più ingrassi e fai più fatica e allora corri di meno e quindi… E non stiamo parlando di 20 chili, ne bastano 2 o 3 per darti subito quell’impressione salvagente, che senti tutto quando ti siedi, un po’ gonfio sopra la cinta.

Poi si avvicina il fine settimana e torna la speranza di correre.

Poi riesci finalmente a prendere i biglietti millemiglia per Miami e anche quella mezza diventa reale, diventa certa.

E il sabato esci, e anche sotto il sole che ti appiattisce sul marciapiedi, riesci a mettere lì, di seguito, una buona distanza, pessimo tempo d’accordo, ma buona distanza dentro le gambe che ti restituisce la voglia e la speranza.

E allora risale la grinta, anche per affrontare questo mese abbondante che conduce a fine agosto, tra lavoro -8 giornate d’aula in 4 città diverse e un fine settimana di viaggi su e giù nelle prossime due settimane- e vacanze, che possono essere toccasana o tragedia per l’allenamento.

Ma ci siamo, sempre lì. Come l’Italia del 2006 dopo aver incassato il rigore dalla Francia. Ci siamo, lì, e non molliamo. E anche vincere ai rigori va bene.

E voi, come vi aiutate quando l’umore cala, quando sembra che tutto vada male, quando il peso cresce? Cosa mi suggerite?

Buona domenica e buona corsa!

 

 

Correndo nel passato

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Non succedeva da quasi quarant’anni. Ci siamo ritrovati così, come allora. Avevamo circa 20 anni, anche meno. E ci si divertiva con poco: una partita con le biglie sulla sabbia, un torneo di calciobalilla, una partitella in riva al mare (si poteva).

E così la grande Betty Squadroni, anima e nome del Bar Betty di Porto San Giorgio anni 1975-1990 (ma io ho militato fino al 1984, poi quando mi sono sposato sono convolato ad altre vacanze), ha preso su telefono e social media, e ci ha convocati tutti per una reunion.

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Ma che cosa c’entra questo con la corsa?

Centra perché la mattina dopo sono andato a correre sul lungomare. Ed è stato come tornare indietro ad ogni passo. Perché ognuno di quei metri mi raccontava una storia, mi sussurrava un viso, mi disegnava un sogno. Perché quando hai vent’anni di sogni ne hai tanti, e pensi di poterli correre tutti, pensi che tutti i traguardi siano afferrabili, siano lì, pronti per te, per regalarti il futuro. Come lo stai già gustando.

I traguardi adesso sono dietro le spalle, diversi, ma senza “rimpianti, ne ho pochi e così pochi che non vale la pena neppure menzionarli”.

Così giù fino al molo, che all’epoca era tutta una cosa diversa, e poi, indietro, risalendo la costa verso il grattacielo, i due tratti di penna sulla carta che chiudevano un mondo, serravano l’estate per evitare che la felicità scappasse via, come invece regolarme nte faceva ad ogni fine stagione per ricacciarti nella tua vita.

Correndo ho avuto la certezza che ogni singolo istante mi resta dentro e che tutto concorra davvero per il bene. E mi spinga ai miei nuovi traguardi, segnati sul selciato.

 

Allenare la volontà

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Perché correre è una cosa di testa. Se non parti da lì, il fisico non seguirà mai.

Sia chiaro, poi ti devi allenare. E ieri ho rotto gli argini, ho battuto il nemico che mi urlava “c’hai tanto da fare, fa caldo, tanto non ti serve” e mi sono buttato giù dalla scrivania alle sei e mezza, di sera, per andare a fare le ripetute al Monte Stella alias montagnetta di san Siro.

Prima un giro di riscaldamento, poi 10×200 metri in salita, sotto la galleria di piante che gentilmente la montagnetta mette a disposizione, poi un altro giro per concludere.

Così ho allenato più la volontà che le gambe. Ed  stato un bene.

Perché questa cosa qui ti serve nella vita, alla fine è così. La corsa è davvero metafora ed energia.

Stiamo perdendo la voglia di avere voglia. Abbiamo passioni. Che però è una cosa diversa. La voglia è quella roba che ti fa sfidare la salita, che ti costringe a vincere la fatica, che ti spreme le passioni per tirare fuori il coraggio -che ad avere passioni e basta è facile, è un po’ da sedentari, da codardi- e che ti fa dare quello che trovi solo negli ultimi trecento metri.

Un po’ come quest’anno, alla staffetta della maratona di Milano, o alla Wings for Life, quando hai un obiettivo da raggiungere (stare sotto le 3 ore e 40 ad esempio, o superare i 15 km) e proprio quando senti che non ne hai più, è allora che tiri fuori, ed è volontà pura, lo scatto, il passo in più, la grinta.

Bisogna allenarsi però. Ancora più che plasmare le gambe.

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Scarpe nuove fatica vecchia

E così non è andata. Domenica mattina. Primi intoppi.

Scarpe nuove, le Brooks GTS 17 prese ieri da Athletic in via Novara a Milano, ma fiato vecchio. Anzi vecchissimo.

Sono partito alla grande, buon ritmo, sguardo alto. Poi pian piano le gambe hanno iniziato ad appesantirsi e la volontà a mollare.

Perché è una questione di volontà alla fine. Non solo è chiaro. Ma insomma… conta non poco.

Ho duellato sui tre chilometri con un signore a torso nudo, più anziano e lento di me. L’ho affiancato perché andavo bene, e lui ha iniziato a tirare per non farsi superare. Prima ho provato a mollare per farlo andare, e ha rallentato anche lui.

Allora ho spinto per superarlo, e lui ha accelerato. Finché ha sprintato e l’ho lasciato andare non senza qualche imprecazione interiore…

E ho ceduto di schianto.

Poi mi son ripreso, e alla fine, con non pochi pezzi camminati, ho superato i dieci chilometri.

Diciamo che è un incentivo, la preparazione è una cosa diversa.

Come in tutto bisogna avere costanza e pazienza, e imparare ad assorbire le sconfitte e farle diventare lezioni e non pretesti per orgogliose rinunce.